Nell’aprile del 1974 il Science Magazine pubblicava uno studio innovativo condotto da Coca Coca Co. per la scelta del packaging. Una valutazione che andava oltre le logiche del contemporary design e che analizzava la potenziale produzione di rifiuti e il loro costo di smaltimento.
Si trattava della prima analisi multi-criteri Life Cycle Assessment della storia.
L’indagine, commissionata dal grande colosso della produzione di bevande analcoliche, misurava le prestazioni ambientali di imballaggi in vetro, plastica e alluminio, confrontandone le emissioni in ambiente.
Si ponevano così le prime basi della metodologia del Life Cycle Assessment – l’analisi del ciclo di vita del prodotto, ma sarebbe trascorso un ventennio prima che le altre aziende produttive ne comprendessero il valore strategico.
Solo nel 1990 il congresso Setac (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) ideò il termine LCA (Life Cycle Assessment) e ne standardizzò la metodologia.
Life Cycle Assessment: prospettive di un’economia ecologica
Nell’ultimo decennio l’emergente coscienza ecologica ha favorito in ambito produttivo lo sviluppo di numerose iniziative finalizzate all’avviamento di piani e programmi per il contenimento degli impatti ambientali.
Anche a livello normativo e legislativo internazionale si inizia a puntare ad un controllo continuo dei sistemi-prodotto al fine di identificare le opportunità di miglioramento delle performances ambientali.
In un mercato fortemente competitivo e in crisi, la metodologia del Life Cycle Assessment rappresenta la vera opportunità di differenziazione.
Sperimentata dalle grandi aziende statunitensi già negli anni ’70 per valutare l’impiego di materiali innovativi negli imballaggi, oggi il Life Cycle Assessment è esteso al processo produttivo di beni e servizi per analizzarne input (materie prime, acqua e fonti energetiche) e output (emissioni gassose e rifiuti).
Consente di stimare il costo energetico ed ambientale di prodotti e sistemi produttivi nel corso della loro vita, dall’acquisizione delle materie prime allo smaltimento, passando per la fabbricazione, la distribuzione e la manutenzione.
L’obiettivo è ridurne preventivamene l’impatto ambientale, evitando l’esaurimento delle risorse naturali e limitando le fonti di degrado ambientale.
Confrontando soluzioni alternative in contesti funzionali equivalenti, i dati di analisi del Life Cycle Assessment consentono di indirizzare le strategie di un re-design di successo, in termini sia economici che ecologici.
Life Cycle Assessment: metodologia e sviluppo
Il Life Cycle Assessment è “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici ed ambientali relativi ad un prodotto, processo o attività” (Setac 1993). Disciplinata dalle norme ISO 14040 e 14044 del 2006, la metodologia si sviluppa in 4 fasi principali:
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Definizione degli Scopi e degli Obiettivi
per stabilire il livello di approfondimento dell’analisi iterativa – semplificato o dettagliato. In questa prima fase si individuano gli strumenti disponibili, i soggetti coinvolti e il pubblico a cui è indirizzato lo studio.
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Inventario
Individuazione dei materiali e dei flussi energetici coinvolti in tutti gli step produttivi. La raccolta dati coinvolge l’intero ciclo di vita del prodotto, processo o attività, dalle fasi di estrazione dei materiali a quelle di dismissione finale.
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Analisi degli Impatti
Quantificazione, Classificazione e caratterizzazione dei carichi ambientali del ciclo di vita del prodotto. I dati risultanti sono convertiti in concentrazioni equivalenti di CO2 per renderli metricamente confrontabili e poi parametrizzati in un indice GWP (Global Warming Potentials).
Gli effetti possono variare dalla scala regionale (formazione di smog, acidificazione del suolo, etc…) alla scala globale (effetto serra, diminuzione delle risorse non rinnovabili, impoverimento dell’ozono stratosferico, etc…).
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Interpretazione e Miglioramento
Rivalutazione critica del processo produttivo per il raggiungimento di un risparmio ambientale, soprattutto attraverso attività di recupero, reimpiego e riciclaggio.
Life Cycle Assessment: il caso studio dell’olio di palma
Le coltivazioni di palma da olio coinvolgono 43 paesi tropicali e le aree di raccolta si espandono in modo indiscriminato minacciando la biodiversità.
Il maggiore produttore mondiale è l’Indonesia (52,3%), che sull’isola di Sumatra ha raso al suolo 123mila chilometri quadrati di foreste per piantarvi palme da olio.
Quanto è costata all’ambiente la tecnica indonesiana “slash-and-burn” (taglia e brucia) per la bonifica dei terreni?
L’ultimo report dell’International Union for the Conservation of Nature (Iucn) rivela che il disboscamento a favore dell’insediamento di piantagioni di olio di palma minaccia 190 specie animali, specialmente gli oranghi la cui presenza negli ultimi 60 anni si è ridotta del 50% a causa della distruzione degli ecosistemi.
Le analisi condotte con approccio Life Cycle Assessment sulla produzione di olio di palma rivelano dati scoraggianti. I principali fattori di indagini sono il riscaldamento globale, l’impatto sulla biodiversità e gli effetti sulla salute a livello respiratorio.
Dalle analisi è emerso che le coltivazioni di palma contribuiscono alla contaminazione di suolo e corsi d’acqua, al dilagarsi di epidemie e di malattie respiratorie e all’inquinamento atmosferico.
Causa principale sono gli incendi non solo nelle foreste ma anche nelle torbiere, che hanno rilasciato in atmosfera un elevato tasso di CO2 e fuliggine, contribuendo al surriscaldamento globale, alla proliferazione delle microparticelle di aerosol e alla morte prematura delle popolazioni che vivono ai bordi della foresta pluviale.
Basti pensare che nel 2015 le emissioni giornaliere di CO2 provocate dagli incendi delle foreste indonesiane superavano le emissioni atmosferiche prodotte da tutte le attività economiche degli USA.
La Carbon Foodprint di Ecosole
In un periodo di forte vulnerabilità ambientale, è necessaria una presa di responsabilità delle aziende, soprattutto del comparto alimentare e ristorativo. E’ fondamentale acquistare prodotti ecologici e sostenibili e adottare processi a basso impatto ambientale.
Al fine di assicurare la gestione sostenibile dell’intero ciclo produttivo, dal 2014 Ecosole ha adottato il sistema di certificazione volontaria ISCC, standard europeo di riferimento per i prodotti derivanti da biomassa.
Annualmente Ecosole misura e quantifica le proprie emissioni di gas climalteranti, adottando la metodologia del Life Cycle Assessment semplificato.
L’analisi è condotta dalla fase di micro-raccolta degli oli vegetali esausti fino al processo finale di recupero, includendo i carichi energetici ed ambientali della logistica.
In conformità con il GHG Protocol, Ecosole quantifica tutte le emissioni dirette, derivanti dall’utilizzo di combustibili per i veicoli aziendali, e le emissioni indirette dovute all’utilizzo di fonti energetiche (gas ed elettricità) per il funzionamento degli impianti di stoccaggio e recupero.
L’indagine analitica consente di valutare la Carbon Footprint aziendale, analizzare le opportunità di miglioramento e avviare un processo di efficientamento energetico.